FOIBE E LITORALE SLOVENO: ovvero come si manipola la Storia

(di Zub) Sapevate che in Slovenia il 15 settembre è la “Festa della ricongiunzione del Litorale sloveno alla madrepatria” ?

La festa del ritorno del Litorale sloveno alla Madrepatria

Probabilmente non ne avete mai sentito parlare. Sicuramente invece avete sentito dire che in Italia il 10 febbraio è il “giorno delle foibe”. Certamente non sapete che le due ricorrenze (un giorno di festa e un giorno di lutto) si riferiscono allo stesso medesimo evento: il trattato di pace tra Italia ed Alleati, sottoscritto il 10 febbraio ed entrato in vigore il 15 settembre 1947, che ha tolto alcuni territori all’Italia per assegnarli all’allora Jugoslavia.

Ecco due esempi di come la Storia viene manipolata e piegata agli interessi politici del momento. In questo articolo cercheremo di capirci qualcosa.

In Italia il “giorno del Ricordo” è stato introdotto nel 2004 dall’allora governo di destra di Silvio Berlusconi col dichiarato scopo di «conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».

La Festa della ricongiunzione del Litorale sloveno alla madrepatria slovena è stata introdotta (ma guarda un po’) l’anno successivo, nel 2005 ed in occasione della sua prima celebrazione il premier sloveno Jansa avrebbe dichiarato (usiamo il condizionale) che se dopo la seconda Guerra Mondiale “il regime jugoslavo non avesse trascinato il Paese al di là della cortina di ferro, avremmo potuto contare anche su Trieste, Gorizia e la Slavia veneta” .

Nel corso degli anni il giorno del Ricordo ha assunto in Italia connotazioni sempre più aggressive, nazionaliste e revansciste, mentre la cosiddetta “Sinistra” nostrana ha progressivamente abbandonato ogni senso critico. Ovviamente sloveni e croati hanno risposto per le rime.

Se secondo l’Italia Istria e Dalmazia “sono sempre state italiane” (vedi dichiarazioni di Tajani nel 2019) secondo Slovenia e Croazia “sono sempre state slovene e croate).

Un piccolo florilegio:

Dichiarazioni del Presidente italiano Napolitano (10.4.2007):

[…] Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica”. Quel che si può dire di certo è che si consumò – nel modo più evidente con la disumana ferocia delle foibe – una delle barbarie del secolo scorso […]”

replica del Presidente croato Mesic (12.2.2007):

[…] Queste dichiarazioni, nelle quali è impossibile non osservare ombre di razzismo aperto, di revisionismo storico e di revanscismo politico, difficilmente si possono includere nel desiderio dichiarato di incrementare i rapporti bilaterali tra i due paesi […]”

[…]

Dichiarazioni Presidente Napolitano (febbraio 2010)

campo di concentramento fascista di Arbe (Rab) per l’nternamento degli sloveni ostili all’occupazione

Siamo qui per rinnovare anche quest’anno l’impegno comune del ricordo, della vicinanza, della solidarietà, contro l’oblio e anche contro forme di rimozione diplomatica che hanno pesato nel passato e che hanno causato a tanti di voi profonde sofferenze. Siamo dunque più che mai con quanti vissero la tragedia della guerra, delle foibe, dell’esodo, siamo accanto a loro e ai loro famigliari, accanto alle famiglie delle vittime innocenti di orribili persecuzioni e massacri. […] Il nostro è un impegno di vicinanza anche per la soluzione dei problemi ancora aperti, e certamente all’attenzione del nostro Governo, nel rapporto con le nuove istituzioni e autorità slovene e croate”

Presidente croato Mesic (febbraio 2010)

Il presidente uscente, Stjepan Mesić, ha ricevuto […] una delegazione dell’Associazione dei combattenti antifascisti e degli antifascisti di Arbe, la quale lo ha informato che è stata istituita la Commissione per la costruzione del Museo memoriale Kampor. Il Capo dello Stato è stato informato su tutte le attività legate al futuro Museo memoriale del campo di concentramento Kampor, contrassegnato oggi soltanto dal cimitero memoriale e da un obelisco. L’obiettivo, è stato sottolineato, è quello di contrassegnare in maniera dignitosa questo luogo di sofferenze. Il presidente della Repubblica ha ringraziato l’Associazione dei combattenti antifascisti e gli antifascisti di Arbe per l’impegno dimostrato, scrive l’agenzia Hina, “nel conservare la memoria delle vittime di uno dei peggiori campi di concentramento fascisti italiani in Croazia”. […]

E arriviamo al 2019 quando di fronte al presidente dell’Europarlamento Tajani che inneggiava all’Istria e alla Dalmazia italiane Slovenia e Croazia hanno presentato vibrate proteste diplomatiche accusando Tajani di “revisionismo storico” e negando l’esistenza di una “pulizia etnica”.

Ma allora qual è la verità ? Cercheremo di capirlo partendo da ciò di cui non si parla mai, cioè la «più complessa vicenda del confine orientale» (cui fa cenno la legge istitutiva del giorno del Ricordo)

UNA STORIA CONDIVISA ?

L’unico serio tentativo di creare una storia condivisa di questi eventi è stato il lavoro della Commissione mista storico-culturale italo-slovena, creata dai due governi nel 1993 e che ha prodotto nel 2001 una corposa relazione di cui raccomandiamo la lettura. Con i croati non c’è mai stato un tentativo del genere e del resto la dissennata escalation nazionalista iniziata dal governo Berlusconi nel 2004 ha vanificato ogni ulteriore possibilità di giungere a un lavoro condiviso tra gli storici dei diversi paesi.

Riassumiamo molto poveramente le conclusioni del lavoro della Commissione mista (ma raccomandando nuovamente la lettura integrale del documento).

Nella premessa il documento riconosce che “Il rapporto italo-sloveno nella regione adriatica ha la sua origine nella fase di crisi successiva al crollo dell’impero romano, quando da una parte sul tronco della romanità si sviluppa l’italianità e dall’altra si verifica l’insediamento della popolazione slovena”.

Cioè le due popolazioni convivono su questi territori da oltre mille anni. Ecco implicitamente fatta piazza pulita della pretesa che queste zone siano sempre state esclusivamente itaiane, slovene (o croate).

La relazione inizia dal 1880 quando, sotto la monarchia asburgica, sloveni e italiani convivono nei territori dell’attuale Friuli-Venezia Giulia e Istria. La politica asburgica del”divide et impera” tende a sfruttare le rivalità tra le diverse nazionalità dell’Impero. In precedenza la popolazione italiana (urbana) era culturalmente ed economicamente dominante su quella slovena (prevalentemente rurale e illetterata). Ma la nascita dell’Italia unita ha cambiato le carte in tavola. Gli italiani d’Austria sono ora esigua minoranza nell’Impero e vengono avvertiti come potenziale minaccia dal governo asburgico, al contempo la popolazione slovena si sta sviluppando economicamente e culturalmente ed incomincia ad acquisire consapevolezza dela propria identità “nazionale”. Gli sloveni rivendicano un nuovo ruolo, gli italiani sentono minacciate le loro antiche prerogative, il governo sfrutta la rivalità crescente.

1918-1941: la fine della prima guerra mondiale vede da un lato la nascita della Jugoslavia (erede della Serbia) e dall’altra l’acquisizione italiana di Gorizia, Trieste e dell’Istria (per chiarezza ricordiamo che nell’Istria a sud di Capodistria, a Fiume e in Dalmazia l’elemento slavo prevalente mescolato a quello italiano è quello croato, non quello sloveno).

“gli italiani […] accolsero con entusiasmo la nuova situazione, mentre per gli sloveni che si erano impegnati per l’unità nazionale e si erano già alla fine della guerra dichiarati a favore del nascente stato jugoslavo, l’inglobamento nello stato italiano comportò un grave trauma.” Passano infatti dall’essere parte di uno Stato plurinazionale ad essere esigua minoranza in uno Stato etnicamente compatto.

Se la politica dei governi liberali italiani nei confronti della “minoranza” slovena è contraddittoria il fascismo fin dal suo sorgere è violentemente antislavo.

“L’impeto snazionalizzatore del fascismo andò […] anche oltre la persecuzione politica, nell’intento di arrivare alla “bonifica etnica” della Venezia Giulia. Così, l’italianizzazione dei toponimi sloveni o l’uso esclusivo della loro forma italiana, dei cognomi e dei nomi personali si accompagnò alla promozione dell’emigrazione, all’impiego di elementi sloveni nell’interno del paese e nelle colonie, all’avvio di progetti di colonizzazione agricola interna da parte di elementi italiani, ai provvedimenti economici mirati a semplificare drasticamente la struttura della società slovena, eliminandone gli strati superiori in modo da renderla conforme allo stereotipo dello slavo incolto e campagnolo, ritenuto facilmente assimilabile dalla “superiore” civiltà italiana.”

Di conseguenza, prosegue la relazione, “Il risultato più duraturo raggiunto dalla politica fascista fu […] quello di consolidare, agli occhi degli sloveni, l’equivalenza fra Italia e fascismo e di condurre la maggior parte degli sloveni (vi furono infatti alcune frange che aderirono al fascismo) al rifiuto di quasi tutto ciò che appariva italiano.”

1941-1945: nel 1941 l’Ialia fascista e la Germania nazista aggrediscono la Jugoslavia che viene smembrata (buona parte della Slovenia, Lubiana inclusa, viene annessa all’Italia). La spartizione del territorio sloveno “tra Italia Germania ed Ungheria pose gli sloveni di fronte alla prospettiva dell’annientamento della loro esistenza come nazione di un milione e mezzo di abitanti e ciò li motivò alla resistenza contro gli invasori.” Resistenza a cui gli occupanti rispondono con estrema brutalità. Tra gli sloveni “Migliaia furono i morti, fra caduti in combattimento, condannati a morte, ostaggi fucilati e civili uccisi. I deportati furono approssimativamente 30 mila, per lo più civili, donne e bambini, e molti morirono di stenti. Furono concepiti pure disegni di deportazione in massa degli sloveni residenti nella provincia [di Lubiana]”.

Si noti che secondo la relazione furono complessivamente deportati 30.000 sloveni su 340.000 passati sotto il dominio italiano (ovvero quasi il 10 % della popolazione !).

Rapidamente la Resistenza partigiana si estende dai territori occupati a quelli già annessi al Regno d’Italia nel 1918 “Fra gli sloveni della Venezia Giulia la lotta di liberazione capeggiata dal partito comunista trovò un terreno particolarmente fertile, perché aveva fatte proprie le loro tradizionali istanze nazionali tese all’annessione alla Jugoslavia di tutti i territori abitati da sloveni, anche di quelli in cui si riscontrava una maggioranza italiana.”

Con il crollo italiano dell‘8 settembre 1943 la conflittualità tra le due nazionalità raggiunge il culmine. Avvengono eccidi di italiani (le cosiddette “foibe istriane”) “nei territori istriani ove era attivo il movimento di liberazione croato, eccidi perpetrati non solo per motivi etnici e sociali, ma anche per colpire in primo luogo la locale classe dirigente, e che spinsero gran parte degli italiani della regione a temere per la loro sopravvivenza nazionale e per la loro stessa incolumità.”

Mentre su tutto il “Litorale adriatico” si estende il brutale dominio nazista (che ha nella Risiera di San Sabba il centro della deportazione degli ebrei e della repressione antipartigiana) si ha una collaborazione abbastanza stretta tra Resistenza italiana e Resistenza slovena (in particolare tra quelle animate dai rispettivi partiti comunisti). Da rilevare un atteggiamento oscillante del PCI non contrario a priori (nel quadro dell’internazionalismo proletario) ad una eventuale annessione di queste zone alla futura Jugoslavia ricostituita.

Tuttavia “sul piano tattico le ultime possibilità di accordo in vista dell’insurrezione finale svanirono di fronte all’impossibilità di raggiungere un’intesa su chi avrebbe avuto il controllo politico di Trieste dopo la cacciata dei tedeschi. Fu così che al termine della guerra ciascuna componente della Venezia Giulia attese i propri liberatori, la Quarta armata jugoslava e il suo nono corpo operante in Slovenia o l’Ottava armata britannica, e scorse in quelli dell’altra l’invasore.”

Ma seguiamo da vicino la relazione “Alla fine di aprile CLN e Unità operaia [la struttura locale della Resistenza slovena] organizzarono a Trieste due insurrezioni parallele e
concorrenziali, ma ad ogni modo la cacciata dei tedeschi dalla Venezia Giulia avvenne principalmente per opera delle grandi unità militari jugoslave e in parte di quelle alleate che finirono per sovrapporre le loro aree operative in maniera non concordata: il problema della transizione fra guerra e dopoguerra divenne così una questione che travalicava i rapporti fra italiani e sloveni della Venezia Giulia, come pure le relazioni fra l’Italia e la Jugoslavia, per diventare un nodo, seppur minore della politica europea del tempo L’estensione del controllo jugoslavo dalle aree già precedentemente liberate dal movimento partigiano fino a tutto il territorio della Venezia Giulia fu salutata con grande entusiasmo dalla maggioranza degli sloveni e dagli italiani favorevoli alla Jugoslavia. Per gli sloveni si trattò di una duplice liberazione, dagli occupatori tedeschi e dallo Stato Italiano.

Maggio 1945 i partigiani jugoslavi entrano a Gorizia

Al contrario, i giuliani favorevoli all’Italia considerarono l’occupazione jugoslava come il momento più buio della loro storia, anche perché essa si accompagnò nella zona di Trieste, nel Goriziano e nel Capodistriano ad un’ondata di violenza che trovò espressione nell’arresto di molte migliaia di persone, parte delle quali venne in più riprese rilasciata – in larga maggioranza italiani, ma anche sloveni contrari al progetto politico comunista jugoslavo – in centinaia di esecuzioni sommarie immediate, le cui vittime vennero in genere gettate nelle ” foibe “, e nella deportazione di un gran numero di militari e civili, parte dei quali perì di stenti o venne liquidata nel corso dei trasferimenti, nelle carceri e nei campi di prigionia (fra i quali va ricordato quello di Borovnica) creati in diverse zone della Jugoslavia. Tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e di guerra ed appaiono in larga misura il frutto di un progetto politico preordinato, in cui confluivano diverse spinte: l’impegno ad eliminare soggetti e strutture ricollegabili (anche al di là delle responsabilità personali) al fascismo, alla dominazione nazista, al collaborazionismo ed allo Stato italiano, assieme ad un disegno di epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o presunti tali, in funzione dell’avvento del regime comunista, e dell’annessione della Venezia Giulia al nuovo stato jugoslavo.

L’impulso primo della repressione partì da un movimento rivoluzionario, che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l’animosità nazionale ed ideologica diffusa nei quadri partigiani.”

“PULIZIA ETNICA” O “VIOLENZA POLITICA” ?

Quindi, secondo la relazione, più che di “pulizia etnica” si dovrebbe parlare qui di “violenza politica” mirante all’eliminazione di tutti gli elementi (italiani o sloveni) compromessi col fascismo e col nazismo o comunque contrari all’instaurazione del regime comunista e all’annessione di queste zone alla Jugoslavia. Anche se (lo aggiungiamo con una punta di malizia) può pure risultare comodo oggi scaricare ogni responsabilità sul regime comunista non più esistente.

1945-1956: Mentre Gorizia torna rapidamente sotto il controllo italiano, tra il maggio 1945 e il settembre 1947 Trieste e l’Istria vengono divise tra due zone d’occupazione: la prima amministrata da un governo militare alleato (Gma), la seconda da un governo militare jugosavo (Vuja). Con il Trattato di pace del 1947 la zona a Sud di Capodistria (esclusa Pola) viene annessa alla Jugoslavia mentre la zona tra Trieste e Capodistria rimane in regime di occupazione in attesa della creazione di uno stato cuscinetto il “Territorio Libero di Trieste” (mai nato) fino al Memorandum di Londra del 1954.

Nel complesso “il nuovo confine premiò […] il contributo della Jugoslavia, aggredita dall’Italia, alla vittoria alleata e realizzò buona parte delle aspettative che avevano animato la lotta degli sloveni e dei croati della Venezia Giulia contro il fascismo e per l’emancipazione nazionale.” Impossibile però definire un chiaro confine etnico per la commistione tra le diverse nazionalità.

“L’assetto imposto dal Trattato di Pace e successivamente completato dal Memorandum – prosegue la relazione – riuscì complessivamente vantaggioso per la Jugoslavia, che ottenne la maggior parte dei territori rivendicati ad eccezione del Goriziano, del Monfalconese e della Zona A del mai realizzato Territorio Libero di Trieste, che pur vedevano la presenza di sloveni. Le valli del Natisone, la val Canale e la val di Resia, sebbene rivendicate dalla Jugoslavia, non costituirono oggetto di trattative. Diversa fu la
percezione di tale esito da parte delle popolazioni interessate. Mentre la maggior parte dell’opinione pubblica italiana salutò con entusiasmo il ritorno all’Italia di Trieste, che era divenuta il simbolo della lunga contesa diplomatica per il nuovo confine italo-jugoslavo, gli italiani della Venezia Giulia vissero la perdita dell’Istria come un evento traumatico, che sedimentò nella memoria collettiva.”

Nelle zone tornate sotto sovranità italiana si verificano “numerosi episodi di violenza contro gli sloveni e contro le persone favorevoli alla Jugoslavia”. In Jugoslavia la rottura tra Tito e Stalin (1948) produce una pesante repressione contro i cominformisti locali (numerosi tra gli italiani e gli sloveni della zona confinaria).

“Nel contempo, le basi economiche del gruppo nazionale italiano, fino ad allora egemone, vennero compromesse sia dalla nuova legislazione che dall’interruzione dei rapporti fra le due zone, mentre le tradizionali gerarchie sociali vennero rivoluzionate, anche a seguito della progressiva scomparsa della classe dirigente italiana. Si mirò inoltre ad eliminare i naturali punti di riferimento culturale delle comunità italiane: così, a ben poco valse l’attivazione di nuove istituzioni culturali – come l’emittente radiofonica in lingua italiana – strettamente controllate dal regime, di fronte alla
progressiva espulsione degli insegnanti e – dopo il 1948 – al ridimensionamento del sistema scolastico in lingua italiana, nonché all’orientamento complessivo dell’insegnamento verso l’attenuazione dei legami del gruppo nazionale italiano con l’Italia e verso la denigrazione dell’Italia.
Allo stesso modo, la persecuzione religiosa del regime assunse nei confronti del clero italiano, che costituiva un elemento chiave per la difesa dell’identità nazionale, un’oggettiva valenza snazionalizzatrice.
Se nei comportamenti anti-italiani di parte degli attivisti locali, che ribaltavano sull’elemento italiano l’animosità per i trascorsi del fascismo istriano, è palese sin dall’immediato dopoguerra l’intento di liberarsi degli italiani in quanto ritenuti irriducibili alle istanze del nuovo potere, allo stato attuale delle conoscenze mancano riscontri certi alle testimonianze – anche autorevoli di parte jugoslava – sull’esistenza di un piano preordinato di espulsione da parte del governo jugoslavo, che pare essersi delineato compiutamente solo dopo la crisi nei rapporti con il Cominform del 1948; questa spinse i comunisti italiani che vivevano nella zona, e che pur avevano inizialmente collaborato, anche se con crescenti riserve, con le autorità jugoslave, a schierarsi nella loro stragrande maggioranza contro il partito di Tito. Ciò condusse le autorità popolari ad abbandonare la linea della “fratellanza italoslava”, che consentiva al mantenimento nello Stato socialista jugoslavo di una componente italiana politicamente e socialmente epurata al fine di renderla conformista rispetto agli orientamenti ideologici e alla politica nazionale del regime.
Da parte jugoslava, pertanto, si vide con crescente favore l’abbandono da parte degli italiani della loro terra d’origine”.

“Pulizia etnica” ?

In pratica, secondo la relazione, il Partito Comunista Jugoslavo inizialmente fautore della”fratellanza tra popoli” nell’ambito della multietnica Jugoslavia si sarebbe orientato verso l’espulsione degli italiani (ormai considerati non più recuperabili dal Regime) solo dopo la crisi cominformista del 1948. Anche qui quindi soluzione politica più che “pulizia etnica”.

L’Esodo

Complessivamente nel corso del dopoguerra l’esodo dai territori istriani soggetti oggi alla sovranità slovena coinvolse più di 27.000 persone – vale a dire la quasi totalità della popolazione italiana ivi residente, oltre ad alcune migliaia di sloveni, che vennero ad aggiungersi alla grande massa di esuli, in larghissima maggioranza italiani (le cui stime più recenti vanno dalle 200 mila alle 300 mila unità), provenienti dalle aree dell’Istria e della Dalmazia oggi appartenenti alla Croazia. Gli italiani rimasti (l’8% della popolazione complessiva) furono in maggioranza operai e contadini, specie quelli più
anziani, cui si aggiunsero alcuni immigrati politici del dopoguerra ed alcuni intellettuali di sinistra.
Fra le ragioni dell’esodo vanno tenute soprattutto presenti l’oppressione esercitata da un regime la cui natura totalitaria impediva anche la libera espressione dell’identità nazionale, il rigetto dei mutamenti nell’egemonia nazionale e sociale nell’area, nonché la ripulsa nei confronti delle radicali trasformazioni introdotte nell’economia. L’esistenza di uno Stato nazionale italiano democratico ed attiguo ai confini, più che l’azione propagandistica di agenzie locali filo-italiane, esplicatasi anche in assenza di sollecitazioni del governo italiano, costituì un fattore oggettivo di attrazione per popolazioni perseguitate ed impaurite nonostante il governo italiano si fosse a più riprese adoperato per fermare o quantomeno contenere, l’esodo. A ciò si aggiunse il deteriorarsi delle condizioni di vita, tipico dei sistemi socialisti, ma legato pure all’interruzione coatta dei rapporti con Trieste – che innescarono il timore per gli italiani dell’Istria di rimanere definitivamente dalla parte sbagliata della”cortina di ferro”.”

E OGGI ? SI E’IMPARATO QUALCOSA ?

Il 1o febbraio 2020 Mattarella dichiara improvvidamente che la dittatura comunista aveva innescato “persecuzioni avvenute in luoghi sotto la maschera della vendetta contro l’oppressione fascista, ma trasformate in una vera e propria pulizia etnica che colpiva selvaggiamente e ampiamente la popolazione indifesa e innocente”.

Pronta la replica del presidente sloveno Borut Pahor che respinge l’accusa di “pulizia etnica” e lamenta l’assenza di una condanna dei crimini fascisti nel discorso del presidente italiano. Siamo cioè punto e a capo, la relazione storica del 2001 sembra essere passata invano.

Sull’argomento anche la lucida lettera a Mattarella dell’ex senatore Stojan Spetič in cui si definisce il giorno del Ricordo ” “giornata dell’odio” di orwelliana memoria”

IL DOLORE DELL’ESODO

La fine della seconda guerra mondiale vede notevoli spostamenti di popolazione. In Germania diversi milioni di tedeschi sono costretti ad abbandonare i territori ceduti col trattato di pace. In Istria e Dalmazia circa il 90 % della popolazione italiana (200-300.000 persone) sceglie di andarsene fruendo delle clausole del trattato che consentono di optare per la cittadinanza italiana.

Per gli esuli la madrepatria si rivela matrigna. Ammassati in campi profughi, guardati con ostilità dalla popolazione che vede in loro dei concorrenti nella ricerca del lavoro, accusati di essere dei “fascisti”. Per loro la vita non è facile. Molti proseguiranno il viaggio trasferendosi all’estero.

La memorialistica (in cui viene accreditato l’esodo come risultato di una “pulizia etnica”) è densa di ricordi dolorosi. Tra le figure di maggior rilievo padre Flaminio Rocchi autore di numerosi libri sull’argomento e infaticabile difensore degli interessi degli esuli.

Se la vita degli esuli è difficile, non molto più facile è quella della minoranza che sceglie di rimanere in Istria e che viene “sommersa” dalla marea degli immigrati dall’interno della Jugoslavia.

LA BEFFA DEI “BENI ABBANDONATI”

Un’altra storia italiana di cui non si parla. I beni abbandonati dagli esuli vengono ceduti dall’Italia alla Jugoslavia a titolo di “danni di guerra”. La Repubblica italiana si impegna ad indennizzare gli esuli per i beni ceduti. Tutto facile ?

Purtroppo no. A tutt’oggi (2020) sono stati versati agli esuli solo alcuni acconti (sic) e lo Stato italiano non sembra affatto interessato a saldare i suoi debiti.

Ovvero fiumi di retorica (che è gratis) si, soldi no.

RIMOZIONI E STORIA TAROCCATA

Come abbiamo visto risulta difficile creare una storia condivisa di queste vicende. In Italia possiamo distinguere tre scuole storiografiche:

NAZIONALISTA ITALIANA: erede della propaganda fascista e alimentata dalla memorialistica degli esuli. Amplifica il dramma delle foibe e tace del tutto sulle gravissime responsabilità fasciste.

Chi si ricorda, ad esempio, di “Lojze Bratuž, mite cattolico e musicista, che nel 1936 a Podgora diresse canti in lingua slovena durante la messa natalizia. Due giorni dopo i fascisti gli fecero bere olio di macchina mescolato con benzina e frammenti di vetro per cui morì dopo un’atroce agonia durata settimane” ?

Questa scuola è oggi predominante in Italia.

FILO-JUGOSLAVA: predominante oltreconfine ma anche ben rappresentata nel nostro Paese. Pone l’accento sulle atrocità commesse dal fascismo e sminuisce di conseguenza la repressione delle “fobe”, considerata come diretta esclusivamente contro gli esponenti del regime fascista e i collaborazionisti. Drammi come quello di Norma Cossetto, trucidata solo perchè figlia di un gerarca locale vengono derubricati a semplici incidenti collaterali.

“ACCADEMICA”: ha un approccio in genere più equilibrato e quindi (per lo più) fornisce stime più attendibili. Tuttavia non è sempre esente da condizionamenti politici (pesanti sia in Italia che oltreconfine) che la portano ad evitare di prendere posizione pubblicamente contro le falsificazioni storiche dei rispettivi governi. Talora questa scuola trova comodo scaricare ogni rsponsabilità su fascismo, nazismo e comunismo jugoslavo ripulendo quindi la coscienza nazionale delle “democratiche” Italia, Slovenia e Croazia.

IL DISCORSO SAREBBE ANCORA MOLTO, MOLTO LUNGO. Ma con questo post ci si propone solo di permettere al lettore ri rendersi conto della complessità del tema.

UNA STORIA CONDIVISA E AFFIDABILE E’ ANCORA TUTTA DA SCRIVERE

 

 

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