Il sistema sanitario italiano: processi di privatizzazione – Parte 1

Dalla sua nascita, e quindi ben prima che esplodesse l’emergenza sanitaria attuale, il blog di Prateria Ribelle si è occupato di salute, sia in quanto diritto di ogni cittadino, sia per denunciare le manchevolezze del sistema sanitario italiano, sia per ricordare i numerosissimi incidenti che colpiscono i lavoratori mentre svolgono le loro mansioni.

Abbiamo pubblicato agli inizi di aprile 2020 un’analisi complessiva del settore.

Proseguiamo ora con un articolo specifico sulla privatizzazione della sanità, partendo da una prospettiva internazionale per passare alla situazione italiana e poi, in particolare al sistema della Regione Lombardia, finita sotto i riflettori per ciò che è accaduto e sta accadendo in queste settimane. L’ultima parte riguarda il cosiddetto “secondo pilastro”, ossia le assicurazioni integrative contratte dai cittadini e in particolare dai lavoratori come elemento presente all’interno dei contratti collettivi nazionali di categoria o, più spesso, di specifici accordi aziendali.

Striscione 1

IL QUADRO INTERNAZIONALE

Abbiamo avuto modo di sottolineare in più occasioni il tentativo ripetuto da parte delle aziende private, sostenute in modo implicito dagli intellettuali al servizio dell’attuale organizzazione della società, di trasformare progressivamente in fonti di lucro i servizi che vengono forniti gratuitamente dallo Stato, che li può finanziare attraverso la fiscalità generale, cioè le tasse, pagate nei Paesi europei quasi ovunque secondo il principio della progressività, per cui chi ha di più paga percentualmente di più (tassazione progressiva) e non solo in misura direttamente proporzionale alla propria ricchezza.

Senza dimenticare l’erogazione dei servizi di maggiore utilizzo (acqua, gas, luce, telefono) e la gestione dei trasporti, nei quali più che di ingresso del capitale privato si può ormai legittimamente parlare di occupazione dello spazio economico, i campi di intervento nei quali vi sono prospettive di accumulazione di enormi profitti sono la salute e l’educazione, ambiti in cui si sono concentrati gli sforzi delle aziende nazionali e multinazionali nel tentativo di trasformare radicalmente le consuetudini diffuse in Europa, dove i cittadini sono, o meglio erano, abituati a considerare la scuola e la sanità come ambiti sottratti alla logica del profitto.

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L’Accordo Multilaterale sugli Investimenti e le “istruzioni” dell’Unione Europea

Nulla è però da considerare acquisito per sempre. L’attacco è formalmente partito con il tentativo, inizialmente coperto dal segreto (!), di fare approvare alla fine degli anni Novanta, l’Accordo Multilaterale sugli Investimenti (AMI) che aveva lo scopo di liberalizzare l’ingresso del capitale privato nel settore dei servizi pubblici .

Sconfitto da un’enorme mobilitazione internazionale questo tentativo, il progetto è diventato quello di introdurre il principio di liberalizzazione dei servizi attraverso la legislazione dell’UE, sottolineando il diritto degli operatori economici a investire in ogni campo (compresi quindi i servizi, globalmente intesi), senza limitazioni territoriali.

Il sito saluteglobale.it ci aiuta a descrivere il processo, basato su tre principi: privatizzazione, liberalizzazione e deregolamentazione. Tre sono anche le parole chiave del progetto: efficienza, efficacia, economicità. Naturalmente schiere di intellettuali al soldo del cambiamento neoliberale ci spiegano che il settore pubblico costa intrinsecamente di più e non è né efficiente (spende male), né efficace (non si occupa adeguatamente degli utenti, pardon: dei clienti).

Il processo di mercatizzazione consiste nella creazione di mercati interni in materia di salute a livello nazionale o nell’ambito del mercato unico UE. Esso comprende l’outsourcing, ovvero l’esternalizzazione di servizi e la concorrenza tra i vari fornitori dei servizi.

L’UE ha così assunto il ruolo di cavallo di Troia dell’intervento privato di banche, assicurazioni, gruppi finanziari italiani e internazionali nei servizi pubblici. Le riforme del settore sanitario sono passate da semplici consigli e raccomandazioni per promuovere pratiche di condivisione, a più costrittive istruzioni fino a giungere a riforme sanitarie imposte ai singoli stati membri per tagliare la spesa pubblica, vincolate alla concessione di fondi strutturali e di investimento.

Tra i primi segni di cambiamento possiamo sottolineare:

– da un lato il peggioramento delle condizioni di lavoro di professionisti e operatori sanitari, con una notevole riduzione del personale, maggiori carichi di lavoro, riduzione delle retribuzioni, nonché maggior condizioni di stress che incidono in modo negativo sulla qualità della cura fornita;

Stipendi Infermieri

– dall’altro l’aumento della diseguaglianza tra cittadini rispetto alla possibilità di accesso alle cure e in generale l’erosione della natura pubblica delle cure sanitarie.

Si sta assistendo ad un meccanismo profondamente ingiusto per cui hanno meno possibilità di curarsi coloro che sono in situazioni a più alto rischio o che necessitano di cure di emergenza e poveri, solitamente anziani o persone con malattie mentali o malati cronici.

Vediamo come sono state introdotte queste nuove impostazioni nel nostro Paese.

LA PRIVATIZZAZIONE DELLA SALUTE IN ITALIA

Prima di cominciare con la nostra analisi, dobbiamo ricordare che la Legge di Riforma Sanitaria, n. 833/1978, trasforma radicalmente il rapporto dei cittadini con la salute. Precedentemente l’assistenza sanitaria era legata a un rapporto di lavoro (il cosiddetto “sistema delle mutue”), mentre con la nuova normativa il diritto riguarda tutti i cittadini e per questa ragione si parla di un istituto “universalistico”.

Passiamo a esaminare la situazione attuale per verificare come e in che misura il sistema si sta progressivamente modificando.

Carmine Tomeo, in un intervento sul sito di Jacobin Italia , ci spiega che gli investimenti nel settore sanitario a partire dal 2009 sono sostanzialmente calati in Italia, risultando deboli, se confrontati con quelli di altri Paesi dell’UE, tra i quali la Francia e la Germania. Il calo è dovuto soprattutto per quanto riguarda l’intervento pubblico, passato al 74% dell’investimento totale, mentre nei citati Paesi la percentuale si situa tra l’83 e l’85%. Stiamo assistendo a una strisciante privatizzazione del sistema sanitario.

Nel  2017 dal bilancio pubblico sono usciti 5,7 miliardi di euro per sostenere la spesa sanitaria privata, mentre aumentano le sofferenze per malattia, le difficoltà per assistere un familiare disabile e l’assenza di prevenzione.

Scrive Tomeo: Attraverso lo svuotamento del servizio sanitario pubblico, passa più facilmente l’idea che lo stato non possa garantire efficacia delle cure ed efficienze, che per fornire assistenza sia necessario tutelare il bilancio dell’azienda sanitaria (che diventa prevalente sul diritto alla salute), che siano giustificati i sistematici tagli di spesa alla sanità pubblica chiamati razionalizzazione o spending review, che non serva o non si possa sbloccare il turn over per sopperire alla strutturale e cronica insufficienza di personale. Uno svuotamento scientifico della sanità pubblica per giustificare l’ingresso dei privati.

Trivulzio 9 Aprile - Togliti La Mascherina

Non c’è bisogno di una riforma che americanizzi d’un colpo la sanità per fare in modo che questa diventi un business per privati. Basta fare in modo che gli ospedali decadano, chiudano, che non abbiano fondi sufficienti, che i tempi di attesa per una prestazione siano inconciliabili con i bisogni di tutela della salute e di cura. Apparirà, poi, giustificato drenare soldi pubblici ai privati, lasciare che questi allarghino i loro tentacoli su ogni tipo di prestazione, non ritenere necessario verificarne l’attività perché – si lascia intendere – come può l’inefficiente stato controllare un più capace, produttivo, dinamico privato?

I gruppi economici coinvolti

Per chi fosse interessato a conoscere i dati relativi ai maggiori gruppi italiani che investono nel settore sanitario, rimandiamo a un’indagine abbastanza recente (2015) di Mediobanca , da cui emerge la posizione preponderante del Gruppo Papiniano SpA (Gruppo Ospedaliero San Donato e Ospedale San Raffaele), che controlla ben 17 strutture ospedaliere; del Gruppo Humanitas (secondo gruppo lombardo) che ne controlla 7; del Gruppo Villa Maria (GVM), a cui fanno capo 28 strutture ospedaliere; dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), i cui principali azionisti sono Mediobanca, Unipol SAI e Unicredit; di Servisan, holding della famiglia De Salvo; della KOS, legata alla CIR della famiglia De Benedetti e al fondo Ardian, che controlla 79 centri per anziani non autosufficienti con circa 7.100 posti letto.

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                                              Gruppo San Donato – Stand Dubai

Si tratta di veri e propri imperi economici, il cui compito, lo ricordiamo, è prima di tutto quello di assicurare profitti agli azionisti.

Chi paga i costi della privatizzazione

Franco Pesaresi, sul sito sossanita.org fornisce un quadro aggiornato sul rapporto tra sanità pubblica e privata da cui emergono alcuni elementi importanti.

In primo luogo, l’aumento della quota di spesa del SSN assorbito dai privati nel 2018 rispetto all’anno precedente a livello nazionale (dal 19 al 20,3%), con picchi assolutamente anomali in Liguria (+70%) e nella provincia autonoma di Trento (+29%).

In secondo luogo, la tipologia di prestazioni fornite: Attualmente il privato accreditato gestisce il 31,3% dei posti letto ospedalieri a livello nazionale. All’interno di questo dato complessivo, il privato accreditato primeggia nel settore della riabilitazione ospedaliera gestendo il 72,9% di tutti i posti letto di tale disciplina (Basilicata, Marche e Liguria al top). La percentuale è invece  del 51,7% per quel che riguarda la lungodegenza post acuzie mentre i posti letto per acuti gestiti dal privato accreditato costituiscono il 23,5% del totale. Il privato accreditato, invece, è molto meno presente nel settore dell’emergenza sanitaria dove i ricoveri non sono programmabili e la casistica più complessa. Infatti, solo il 9,7% degli ospedali privati accreditati sono dotati di Pronto soccorso o di Dipartimento di emergenza.

Pronto Soccorso 1

Contrariamente a quello che si pensa la crescita più grande del settore privato accreditato non si è registrata negli ospedali ma nelle strutture extraospedaliere: ambulatori,  laboratori, strutture residenziali e semiresidenziali, ecc.. Queste strutture erano poco più di un terzo del totale (38,9%) nel 1998 mentre nel 2017 rappresentavano già la maggioranza  e cioè il 57,3% del complesso di tutte le strutture pubbliche e private italiane. Parliamo di 24.911 strutture che costituiscono fra l’altro l’ampia maggioranza delle strutture residenziali (82,3%) e di quelle semiresidenziali (68,6%).

In terzo luogo, le caratteristiche della spesa sanitaria privata: nel 2018, è stata di circa 39,9 miliardi di euro, pari a 660 euro pro capite (il 26% della spesa sanitaria totale). Di questa spesa, la grandissima parte, pari al 90% (591 Euro), è a diretto carico delle tasche delle famiglie. Nel 2012 la spesa privata corrispondeva a 34,5 miliardi di euro: l’aumento in soli 6 anni è stato del 15,6% (5,4 miliardi di euro). Nello stesso periodo, la spesa sanitaria pubblica è aumentata solo del 4,4%.

Nel periodo 2011-2017 (secondo i dati di una ricerca di D’Angela e Spandonaro del 2019) ,

pur avendo la popolazione più povera ridotto il consumo totale, le spese per consumi sanitari di questo settore sociale sono cresciute per il 20%, mentre per la popolazione più ricca sono diminuite le spese, pur essendo aumentati i consumi, facendo registrare un chiaro peggioramento in termini equitativi.

Spesa Privata 1

Inoltre, la spesa privata per la sanità si distribuisce in modo molto disomogeneo fra le varie regioni italiane: al livello più basso troviamo la Campania, con una spesa pro capite di 374 euro, mentre al livello più alto si posiziona la Valle d’Aosta, con 1.030 euro.

La spesa sanitaria privata, quasi totalmente a carico delle famiglie, ricomprende soprattutto le spese per i servizi dentistici (21,1%), per i farmaci (21,1%) (esclusi prodotti omeopatici ed integratori), per le visite mediche (13,5%), per le attrezzature terapeutiche (9%) (come occhiali, lenti, protesi uditive, ecc.), per i  servizi diagnostici (8,8%).

In quarto luogo, il peso delle tasse: il gettito complessivo dei ticket, escluse le strutture accreditate dove il dato non viene rilevato, è passato da 1,8 miliardi nel 2008 a 3 miliardi nel 2018. In particolare, il superticket, ovvero la quota fissa di 10 euro per ricetta sull’assistenza specialistica ambulatoriale introdotta nel 2011, ha rappresentato un aggravio a volte insostenibile per le famiglie più in difficoltà.

Conclude l’autore: l’abolizione del superticket dal 1° settembre 2020 (riduzione di spesa di 185 milioni nel 2020 e di 554 nel 2021 per i cittadini) e l’aumento di 2,2 miliardi del Fondo sanitario nazionale, previsti nella legge di bilancio 2020 va nella direzione  giusta di abbattere i costi a carico degli utenti e di ampliare l’offerta di servizi. Si tratta però di un intervento ancora insufficiente che va sostenuto anche nelle prossime leggi di bilancio al fine di contenere la spesa sanitaria a carico delle famiglie e di contrastare la privatizzazione della sanità.

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Le condizioni di chi lavora nella sanità

In parallelo con la contrazione dei servizi universali e l’aumento dei costi per le prestazioni, vi è poi il capitolo  relativo alle condizioni di lavoro del personale.

Numerosissime sono le proteste portate avanti in questi anni dal personale medico e infermieristico, spesso ignorate dai mezzi di comunicazione e anche dai cittadini comuni, che hanno dimenticato l’importanza della solidarietà e dell’importanza di una visione comune dei problemi sociali per poterli affrontare e risolvere a vantaggio dei lavoratori e dei settori meno abbienti.

Sanità Diritto 22

Un nostro articolo ha cominciato ad affrontare questa problematica, per ora limitatamente alla Regione Lombardia.

Segnaliamo in questa sede un’inchiesta del settimanale L’Espresso del 2018 , da cui scopriamo che sul fronte degli infermieri andiamo malissimo: ci sono 5,4 unità ogni mille abitanti contro i 9 della media Ocse, i 10,2 della Germania, i 18 della Svizzera. E in Italia quelli in servizio, sia per far quadrare i conti famigliari (guadagnano 1.200 euro al mese o meno) sia per non lasciare i reparti scoperti, sono spesso costretti a doppi turni, fino a 16 ore consecutive: con un inevitabile crollo d’attenzione e di cura per i pazienti e con un massacro per loro.

Questo è il trattamento per i lavoratori che per qualche settimana sono stati definiti “eroi” da tutti, anche da chi li ha costretti per anni al superlavoro e a stipendi da fame.

Come in ogni settore dove comanda il settore privato, il modello è basato sullo sfruttamento della manodopera, sui bassi salari, sui doppi turni e sull’esternalizzazione dei servizi accessori, quando non di quelli forniti dagli stessi operatori sanitari.

Riportiamo dallo stesso sito: oggi ci sono 12 mila specialisti con rinnovo annuale e una paga base di circa 80 euro al giorno. Gli anni di attesa per una stabilizzazione sono 15.

Così descrive la sua esperienza Chiara, emigrata dalla Campania in Brianza: “Ho un contratto di sostituzione in guardia medica e prendo 240 euro per 12 ore di turno notturno, sempre con partita Iva. Ma non basta per arrivare alla fine del mese, così nelle altre notti lavoro all’Humanitas, un ospedale privato di Milano che mi paga 14 euro netti all’ora”.

Per alcuni, si vive un’esperienza di caporalato. Alessandro Vergallo, presidente dei medici anestesisti e rianimatori, citando nomi di centri dove queste pratiche avvengono abitualmente, ha inviato una serie di segnalazioni al ministero indicando i nomi delle cooperative che, in regime di subappalto, gestiscono interi reparti di ospedali pubblici e cercano urgentemente medici.

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Complimenti alle aziende ospedaliere (oggi si chiamano in questo modo) per il modo in cui vengono trattati gli “eroi” in Italia!

Dal generale passiamo ora al particolare e ci inoltriamo nel territorio e in particolare nella Regione Lombardia, il cuore della trasformazione della sanità, il fiore all’occhiello della sanità integrata, in cui il privato dà il meglio di sé, come si è visto nell’emergenza sanitaria 2020.

Prateria Ribelle

Parte 2

Parte 3

 

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