La sanità in mano ai privati – Convegno sulla Privatocrazia presso l’Istituto Mario Negri il giorno 6-2-2023

Il giorno 6 febbraio 2023 si è svolto presso l’Istituto Mario Negri di Milano il convegno Privatocrazia: oltre il mantra della parità pubblico-privato in Sanita, al quale hanno partecipato diversi studiosi, che hanno cercato di chiarire quali sono i danni causati alla cittadinanza dalla progressiva invasione delle aziende private in un settore chiave dell’esistenza delle persone e della vita democratica.

Gli interventi integrali e l’interessante dibattito sono disponibili su You Tube.

In questa sede, ci limiteremo a una sintesi degli argomenti toccati dai relatori, con l’obiettivo di stimolare la riflessione e il confronto su un tema di basilare importanza, suddividendo gli interventi in quattro paragrafi relativi alle diverse questioni affrontate.

1.Caratteristiche e rischi

della privatizzazione in Sanità

Diversi interventi hanno analizzato le caratteristiche e le conseguenze della crescente privatizzazione del Servizio Sanitario Nazionale.

a) Può funzionare la concorrenza

tra pubblico e privato in sanità?

Il professor Livio Garattini, ricercatore presso l’Istituto Mario Negri, ha presentato la relazione: Concorrenza pubblico privato in sanità: può funzionare?

Nel suo intervento ha segnalato l’inefficienza del settore privato in sanità, citando gli altissimi costi per le casse pubbliche di un sistema fortemente centrato sul privato e discriminatorio nei confronti di chi non ha i mezzi per pagare, come quello degli Stati Uniti.

Anche da un punto di vista strettamente economico, la privatizzazione dei sistemi sanitari mostra pesanti falle, dovute alle caratteristiche di un settore che opera in un campo dove gli acquirenti non hanno le conoscenze per operare in modo razionale (cioè effettuando scelte consapevoli) e in cui la commistione fra i diversi livelli gestionali portano a decisioni che non sono le migliori per il sistema, bensì per gli operatori economici, in cerca di profitti da massimizzare: dal momento che non ci sono prezzi di mercato, le pressioni politiche sono fortissime.

In Europa sono stati nel tempo prevalenti due tipologie di Servizi Sanitari:

  1. quello Beveridgiano caratterizzato da una copertura universale, da un finanziamento derivante dalla tassazione generale e da servizi forniti dal settore pubblico;
  2. quello Bismarckiano, con una copertura quasi universale, contributi sociali obbligatori e servizi forniti congiuntamente dai settori pubblico e privato.

Entrambi questi sistemi si sono dimostrati efficienti, a differenza di quello statunitense, fondato sulle aziende private e sulle assicurazioni.

In Europa, un passo decisivo verso la privatizzazione della sanità è avvenuto con l’attacco all’NHS in Gran Bretagna, uno dei più efficaci sistemi pubblici, che è stato smantellato a favore di una privatizzazione dei servizi (si veda su questo il libro di Jacky Davis e Raymond Tallis SSN – SOS dall’Inghilterra).

Livio Garattini ha sottolineato come la sanità sia ai vertici dei bisogni umani e quindi come la concorrenza non sia lo strumento più adatto per gestirla. Per quanto riguarda le proposte, il relatore ha sottolineato come qualsiasi forma di doppia attività dovrebbe essere vietata per legge, ha sostenuto che tutti i Medici di Medicina Generale  (MMG) dovrebbero essere dipendenti del SSN e ha ribadito quanto sia importante concentrare gli sforzi per fare funzionare in modo efficiente i servizi sanitari pubblici.

b) Chi offre le cure migliori

Il professor Giuseppe Remuzzi, dal 2018 Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, ha tenuto una relazione dal titolo Chi ti cura meglio?, in cui ha affrontato diverse questioni relative al rapporto tra pubblico e privato. Prateria Ribelle ha recensito tempo fa il suo interessante lavoro, La salute (non) è in vendita, in cui esprimeva il suo parere sulla politica sanitaria e indicava alcune strade da percorrere per mantenere l’universalità della sanità pubblica.

Nella sua relazione ha messo gli ascoltatori di fronte alla realtà presente nei Paesi in cui non vi è un’assistenza sanitaria pubblica e gratuita, sintetizzata con la frase laconica, ma molto eloquente: se sei povero sei morto.

In effetti, ciò che noi diamo per scontato – l’eliminazione della preoccupazione economica per chi ha bisogno di cure sanitarie – non è la situazione abituale per chi vive al di fuori dei Paesi in cui lo stato sociale si fa carico della copertura delle cure per tutta la cittadinanza, indipendentemente dalla situazione economica di ogni singola persona.

Dopo avere citato diverse situazioni concrete in cui l’efficienza della sanità pubblica ha fatto la differenza, salvando vite umane, ha citato tre parole cardine del SSN: Universalità SolidarietàUniformità.

Di fronte al problema rappresentato dall’aumento costante della spesa sanitaria, Remuzzi ha ricordato la fondamentale differenza tra settore pubblico e settore privato: il pubblico può proporsi di ridurre il fatturato attraverso la prevenzione, mentre il privato vuole aumentare il proprio fatturato e quindi non si occupa di prevenzione. Di più: con l’ottica del profitto, si perde il fondamento dell’etica del medico.

Remuzzi ha poi sottolineato come si possano considerare buone cure solo quelle per cui c’è evidenza di efficacia; come la libertà di ogni persona dipenda dal livello di benessere, in sintesi dallo star bene; e come sia fondamentale partire dalla ricognizione delle esigenze dei territori per rispondere adeguatamente ai bisogni della cittadinanza.

La relazione si e conclusa con alcune indicazioni operative:

  • I Medici di Medicina Generale (MMG) devono diventare dipendenti del SSN.
  • Si deve abolire l’intramoenia, fonte di discriminazione fra chi può pagarsi le prestazioni e chi non è in grado di farlo
  • Bisogna investire sui giovani medici e sul loro entusiasmo, valorizzando l’essenzialità del rapporto umano tra medici e pazienti.
  • I piccoli ospedali vanno chiusi per problemi di efficacia, ancor prima che per problemi economici.
  • Il privato va accreditato solo per i servizi che non sono disponibili nel pubblico.
  • Per superare le disfunzionalità legate al sistema burocratico vigente, occorre dare agli ospedali lo stato giuridico di imprese, in modo da renderli più flessibili (su quest’ultimo punto, si è sviluppato successivamente un vivace e costruttivo dibattito).

c) Il diritto alla salute e la Costituzione

Francesco Pallante, professore associato di Diritto Costituzionale presso l’Università di Torino, nella sua relazione dal titolo La salute è un diritto costituzionale, ha sottolineato come il diritto alla salute sia l’unico diritto che la Costituzione definisce espressamente come fondamentale (articolo 32, comma 1, della Costituzione: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti).

Da questo elemento di fondo, derivano tre conseguenze:

1La salute non è un diritto finanziariamente condizionato.

2 Il diritto alla salute è riconosciuto come diritto spettante all’individuo anziché – come avviene per altri diritti – al cittadino. Dunque, non solo non si tratta di un diritto che spetta, com’era un tempo, solo ai lavoratori (di fatto, sino all’approvazione della legge n. 833/1978: prima c’era il sistema delle mutue al quale si partecipava in quanto lavoratori o familiari di lavoratori), ma nemmeno si tratta di un diritto che spetta solo ai cittadini. Quello alla salute è un diritto che spetta anche agli stranieri a qualsiasi titolo siano presenti sul territorio nazionale, cioè anche se sono entrati in Italia irregolarmente: quindi spetta a qualsiasi essere umano sia sottoposto alla sovranità dello Stato italiano.

3 Il diritto alla salute deve essere assicurato in modo uguale e uniforme su tutto il territorio nazionale. È una interpretazione, questa, che nasce in dottrina, ma che poi è stata fatta propria anche dalla Corte Costituzionale, che ha affermato che la tutela della salute non può non darsi in condizioni di fondamentale uguaglianza su tutto il territorio nazionale.

Le differenze territoriali

Il principio dell’uguaglianza di trattamento dei cittadini implica, in campo sanitario che, a parità di bisogno sanitario, tutti i cittadini siano curati nello stesso modo. In realtà, non è questo che accade in Italia: come sappiamo, l’assistenza sanitaria offerta nelle diverse regioni è tutt’altro che omogenea.

I cittadini che vivono in determinati territori godono di servizi sanitari decisamente migliori rispetto a quelli che spettano a chi risiede in altre parti del Paese; talvolta, anche all’interno della stessa regione, si riscontrano sostanziali differenze di trattamento tra una ASL e l’altra o tra un ospedale e l’altro.

La spesa sanitaria pro-capite varia di quasi 600 euro da regione a regione e questo ha effetti drammatici sulla salute delle persone. Il dato più sconvolgente, ha sottolineato Pallante, non è la differenza di quattro anni nell’aspettativa di vita a favore di chi vive al Nord rispetto a chi vive al Sud, ma la differenza di ben tredici anni nell’aspettativa di vita in salute, che è di 54 anni in Calabria e di 67 a Bolzano. Nessun Paese d’Europa fa registrare, al proprio interno, una diseguaglianza così profonda.

I princìpi costituzionali di globalità, equità e unicità

Il professor Pallante ha poi analizzato altri tre importanti princìpi.

A) La globalità delle prestazioni erogate

La globalità implica che il servizio pubblico si faccia carico di tutte le esigenze di salute, concependo la salute nell’accezione più ampia possibile. Il sistema sanitario non deve pertanto limitarsi alla cura degli stati patologici acuti, ma deve intervenire su tutti i fattori che influenzano, più o meno direttamente, la salute dei singoli e della collettività.

L’ampia gamma delle prestazioni offerte dalla sanità italiana va in questa direzione. Il SSN non si limita, infatti, alla diagnosi e alla cura delle malattie, ma spazia dalla prevenzione alla riabilitazione, dall’igiene degli alimenti ai servizi veterinari, dalla tutela della maternità alla sicurezza sul lavoro, dalla medicina scolastica alla tutela della salute mentale, dall’assistenza ai portatori di handicap al contrasto alla tossicodipendenza.

B) L’equità del finanziamento

Un sistema sanitario è equo quando le spese sanitarie sono distribuite tra i cittadini in base non alle condizioni di salute, ma alla capacità contributiva. È quello che solo in parte avviene in Italia: poiché il SSN è finanziato principalmente attraverso la fiscalità generale, grazie al principio della progressività fiscale (articolo 53 della Costituzione), i più benestanti pagano parte dell’assistenza sanitaria destinata ai meno abbienti.

A ridurre l’equità complessiva del sistema concorrono, tuttavia, almeno tre elementi:

  • la crisi della progressività fiscale (sempre meno marcata dal 1973 a oggi: quando venne istituita l’Irpef, gli scaglioni erano trentadue, con aliquote tra il 10% e il 72%; oggi gli scaglioni sono quattro, con aliquote tra il 23% e il 43%: sono state aumentate le tasse ai poveri per diminuirle ai ricchi);
  • la compartecipazione alla spesa da parte degli utenti (i cosiddetti ticket, che coprono circa il 2% della spesa sanitaria pubblica);
  • la quota crescente di spesa sanitaria privata : tra i premi pagati per la sottoscrizione di polizze assicurative e il costo delle prestazioni acquistate al di fuori del SSN siamo oramai al 25-30% della spesa sanitaria complessiva, pari a circa 1800 euro all’anno a nucleo familiare.

C) L’unicità della gestione in capo al settore pubblico

È evidente che l’obiettivo di ricondurre in capo al SSN la gestione di tutte le attività sanitarie, che prima della legge del 1978 erano ripartite tra una pluralità di attori pubblici e privati, è un obiettivo in larga misura disatteso. La spesa sanitaria complessiva è oramai distribuita quasi alla pari tra fornitori pubblici e fornitori privati.

In rapporto al PIL, il bilancio pluriennale dello Stato prevede che nel 2025 la spesa sanitaria ammonterà al 6,1%: è un dato al di sotto non solo dei livelli pre-pandemia, ma soprattutto della misura minima perché un sistema sanitario possa funzionare in modo adeguato (misura che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ritiene sia il 6,5% del PIL).

Anche considerata pro-capite, la spesa sanitaria italiana è estremamente bassa: con 3.052 euro a persona, l’Italia si colloca all’ultimo posto tra i Paesi del G7, al di sotto della media Ocse. Per avere un riferimento: la Germania spende 6.351 euro pro-capite, per un ammontare complessivo, rispetto al PIL, pari a quasi il 12% (il doppio dell’Italia).

Bisogna comunque dire, sottolinea Pallante, che la sanità italiana sa fare un uso particolarmente accorto delle scarse risorse a sua disposizione: a dispetto delle continue polemiche sull’inefficienza della pubblica amministrazione, i risultati misurati dagli indicatori di salute in Italia sono stati spesso migliori di quelli di Paesi che pure dispongono di risorse superiori.

A questo proposito, merita in questa sede aggiungere che peggio di tutti fanno gli Stati Uniti d’America, a sistema sanitario privato: nel complesso, la spesa in salute statunitense supera il 15% del PIL (il doppio della media Ocse), eppure gli indicatori di salute in quel Paese rimangono al di sotto di quelli degli Stati a servizio sanitario pubblico.

Di fatto, quello che sta accadendo è il rapido scivolamento verso una situazione in cui il SSN manterrà essenzialmente il compito di presidiare la fase emergenziale, mentre tutto il resto diventerà sempre più terreno d’intervento dei privati.

L’autonomia regionale differenziata

Per quanto riguarda la pesante minaccia che grava sul SSN – l’autonomia regionale differenziata –, la prospettiva è quella di un ulteriore inasprimento delle enormi differenze che già oggi segnano la tutela della salute nelle diverse regioni italiane. È evidente che l’urgenza sarebbe quella di un’azione politica volta a realizzare una maggiore uguaglianza e uniformità tra i cittadini e i territori.

E, invece, la minaccia incombente è quella di un’ulteriore differenziazione. Una differenziazione, oltretutto, promossa dalle regioni più ricche, con l’obiettivo dichiarato di trattenere parte del gettito fiscale riscosso sul proprio territorio nelle casse regionali e dunque, in questo modo, di ridurre le risorse destinate alla redistribuzione della ricchezza, in violazione degli articoli 2 e 53 della Costituzione che sanciscono il dovere di solidarietà economica in base al livello di benessere, non al territorio di residenza.

Al contrario, quello di cui ci sarebbe bisogno è, anzitutto, che i profili organizzativi essenziali tornino a essere uniformi (in particolare, per quanto attiene al rapporto tra dimensione territoriale e dimensione ospedaliera dei SSR); e, in secondo luogo, che torni a essere ovunque vero quel che dispone la legge n. 833/1978 a proposito delle finalità del SSN, che vanno rivolte alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione (articolo 1, comma 3), affinché sia realizzato il superamento degli squilibri territoriali nelle condizioni sociosanitarie del Paese (articolo 2, comma 2, lettera a).

Pallante ha concluso affermando che non è vero che non ci sarebbero le risorse con cui finanziare in modo adeguato la sanità pubblica. Quella che manca è la volontà politica, dal momento che la cittadinanza, al di là degli orientamenti partitici dei singoli, continua in larga misura a essere favorevole alla natura pubblica del nostro servizio sanitario.

d) Privatizzazione e disuguaglianze

Il dottor Marco Geddes da Filicaia, già direttore sanitario dell’Istituto Nazionale Tumori di Genova, vicepresidente del Consiglio Superiore di Sanità tra il 1997 e il 2003, oltre che Assessore alla Sanità e Servizi Sociali del Comune di Firenze tra il 1996 e il 2000, ha presentato una relazione dal titolo Privatizzare genera disuguaglianze tra i cittadini.

Le diseguaglianze, ha affermato, appaiono assai più marcate in un sistema con più alta presenza privatistica nella sanità.

Ciò non ha impedito, tuttavia, di sostenere la diffusione della privatizzazione in sanità, talvolta anche in nome della equità, come dimostra quanto scriveva nel 1997 l’allora Direttore Generale della Confindustria (Giorgio Fossa) che, presentando sul Sole 24 Ore le proposte di tale Associazione al Governo Prodi, titolava il suo articolo: L’assistenza per tutti è contro l’equità.

Peraltro, a livello generale nel corso degli ultimi trent’anni la privatizzazione è stata favorita e spesso imposta, specie nei Paesi a medio e basso reddito o in situazioni di crisi finanziarie, dalle strategie della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale con programmi di aggiustamento strutturale che, attraverso diverse vie, hanno portato a un restringimento del welfare e della copertura sanitaria.

Tipologie di privatizzazione

Geddes ha così sintetizzato le diverse tipologie di privatizzaione:

  1. Limitazioni della popolazione assistitaEsempio: Stati Uniti, con una elevata percentuale di popolazione non assicurata. – Conseguenze: Accentuate differenze di accessibilità e qualità dell’assistenza. Rilevanti disuguaglianze anche in termini di mortalità evitabile.
  2. Riduzione delle prestazioni disponibiliEsempio: Paesi a medio e basso reddito. –  Conseguenze: Pagamento di farmaci anche in ospedale, pagamento dell’ambulanza, ecc.
  3. Riduzione della accessibilità alle prestazioniEsempio: Italia e altri Paesi con sistemi sanitari pubblici. – Conseguenze: Ricorso alla sanità privata. Utilizzo della Libera Professione Intramoenia per bypassare le liste di attesa. Rinuncia o ritardo nella diagnosi e nella cura.
  4. Incremento della copertura privata di prestazioni integrative o sostitutiveEsempio: Italia; welfare aziendale con detassazione (quindi con una spesa privata a carico della fiscalità generale). – Conseguenze: riduzione gettito fiscale (1.3 – 2.5 mld); spesa out of pocket. In tale area si nasconde una forte disuguaglianza, ad esempio nelle cure dentarie. Lo stato della dentizione è da tempo un elevato indicatore sociale, mentre ora l’ambito più rilevante è diventata l’assistenza sociosanitaria alla popolazione anziana, che è in aumento.
  5. Affidamento a privati di serviziEsempio: esternalizzazione di servizi accessori e di servizi fondamentali. – Conseguenze: selezione dell’utenza e selezione delle prestazioni .
  6. Collocazione in strutture private di attività sanitarie pubblicheEsempio: Convenzioni con Case di cura. – Conseguenze: Riduzione delle aree di intervento del SSN. Perdita di capacità di governance del sistema pubblico.
  7. Decentramento finanziario e istituzionaleEsempio: Autonomia differenziata ovvero la balcanizzazione del welfare. – Conseguenze: privatizzazione del sistema sanitario in alcune regioni.
  8. Concorrenza fra strutture pubblicheEsempio: Autorizzazioni a professionisti di attività privata extra moenia. – Conseguenze: diffusione mirata della libera professione. Selezione delle attività in relazione ai DRG.

Vi sono sempre più prestazioni non disponibili. La disponibilità reale delle prestazioni sanitarie dipende da tre fattori: a) quando, b) dove, c) come. In altri termini: a) in che tempi: la lunghezza delle liste di attesa; b) in quale luogo: prossimo; nella stessa regione; in un’altra regione; c) di quale qualità.

È qui che l’indebolimento della sanità pubblica e il contestuale sviluppo del privato e del welfare aziendale sostitutivo amplifica le disuguaglianze.

Povertà e riflessi sulla salute delle persone

Altri aspetti sottolineati da Geddes sono:

  • La rinuncia alle cure. L’Italia si collocava al sesto posto, nel 2016, nella graduatoria della percentuale di popolazione che ha rinunciato a prestazioni sanitarie per costo, distanza o liste di attesa, con una percentuale di popolazione che si avvicinava al 6%. La situazione è progressivamente peggiorata, sostanzialmente in tutte le regioni, fino a raggiungere, nel 2021, l’11% della popolazione italiana.
  • L’impoverimento delle famiglie. La rinuncia alla spesa sanitaria interessa ovviamente in misura rilevantissima i redditi più bassi che riducono i propri consumi. Si tratta della conseguenza della crisi economica e della privatizzazione di fatto di larghi ambiti dell’offerta sanitaria non più tutelati dal SSN.

Come conseguenza della necessità di soddisfare la necessità di assistenza e cura è in atto un processo di impoverimento delle famiglie per motivi sanitari: si tratta di un fenomeno concentrato prevalentemente al Sud.

Vi è inoltre il fenomeno delle spese sanitarie catastrofiche – situazioni in cui la spesa incide in modo rilevante sul reddito della famiglia o della persona sola, condizionandone pesantemente le scelte economiche complessive – che presenta un’altissima concentrazione al Sud.

La Migrazione Sanitaria

Geddes si è poi soffermato sul fenomeno della Migrazione Sanitaria: I Saldi di mobilità interregionale negli ultimi anni evidenziano un flusso migratorio in incremento costante verso il Nord che privilegia la Lombardia, in particolare nelle strutture private convenzionate. In un decennio, l’incremento di introiti, in Lombardia, risulta del 55% e l’aumento di spesa in Calabria è del 22%. Si tratta di un fenomeno che ha alcune caratteristiche di notevole iniquità: 1. Il trasferimento di risorse dalle regioni più povere a quelle più ricche. 2. Il trasferimento di tali risorse, in Lombardia, prevalentemente al privato. 3. Un riequilibrio di accessibilità che si concentra sulle fasce di popolazione di maggior reddito che possono sostenere i costi aggiuntivi legati al trasferimento (viaggio, alloggio, familiari, ecc.).

Interventi possibili

La via da seguire per restituire al SSN il suo ruolo consiste, secondo il relatore, in un lungo lavoro di politica del personale in termini di formazione, incremento degli organici e adeguamento della retribuzione, accompagnato da un potenziamento della ricerca indipendente. Ha citato il Crea (Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità – C.R.E.A. Sanità) che, nel suo ultimo rapporto, ha valutato tre scenari:

1. Un allineamento della retribuzione dei medici e degli infermieri alla media dei Paesi europei confinanti o analoghi (Francia, Germania, Regno Unito, Spagna) con un aumento del 28% del Fondo Sanitario Nazionale.  

2. Un allineamento solo in termini numerici (attraverso la massiccia assunzione di medici e infermieri) con un aumento del 24% del Fondo Sanitario Nazionale.

3. Entrambi i provvedimenti, con un incremento del 68,4% della spesa sanitaria.

Si potrebbero così fra l’altro superare sia il welfare aziendale a spese della comunità, sia la libera professione intramoenia. Sottolinea Geddes che se tale obiettivo fosse stato proposto durante la pandemia – e non si fosse pensato solo all’emergenza – sarebbe stato accolto e avrebbe avuto il sostegno dell’opinione pubblica. Si tratta comunque di un obiettivo ragionevole, se indicato come traguardo da raggiungere in un ventennio, da realizzare con tappe progressive monitorate e che avvicinerebbe in misura sostanziale la spesa sanitaria italiana a quella dei più virtuosi Paesi europei.

2. La privatizzazione della Sanità

nella Regione Lombardia

Maria Elisa Sartor, professore a contratto presso l’Università degli studi di Milano, ha presentato una relazione dal titolo La privatizzazione della sanità: il modello Lombardia, già argomento del suo volume La privatizzazione della sanità lombarda dal 1995 al Covid19 – Un’analisi critica, recensito da Prateria Ribelle.

A) L’impalcatura ideologica

Sartor ha esordito sottolineando come negli studi di settore italiani si è messo in moto un processo che ha definito di oscuramento di quanto storicamente è accaduto in Lombardia; al contrario, sarebbe importante conoscere proprio ciò che viene oscurato per entrare in possesso di chiavi di lettura utili alla difesa del SSN.

Paradossalmente, ha spiegato, in tempi di drammatica imposizione dell’autonomia differenziata, all’improvviso non esistono più le regioni e i loro specifici percorsi. Molti interventi oggi riconducono la sanità ad un unico fenomeno generale: la crisi del SSN e quindi, per una sorta di ribaltamento del discorso, il SSN è diventato qualcosa di unitario, ma solamente in quanto livellato da numerosi problemi.

I caratteri specifici della sanità lombarda sono implicitamente dati per noti, vengono considerati non specifici e, soprattutto, vengono considerati non problematici, mentre lo sono.

Non contano più né le origini dei problemi, né i protagonisti, né i processi, né gli esiti: tutto diventa indistinto e indistinguibile: nel prospettare ricette che aggravano la malattia – la diffusione del privato lasciato in libertà è una delle patologie più insidiose per il nostro SSN – si intona il de profundis per la sola sanità erogata dal pubblico.

Questo è il modo attraverso cui si esprime la strategia di privatizzazione della sanità italiana.

La professoressa Sartor ha illustrato nel suo intervento i processi in atto in un modo diverso, come aveva fatto nel suo importante testo.

Utilizzando come telaio ideologico di fondo la teoria neoliberale anglosassone del New Public Management, la Regione Lombardia nel 1997 ha emanato una legge di riforma con l’obiettivo di rendere disponibili alla concorrenza tra pubblico e privato i servizi prima erogati dal solo soggetto pubblico (l’assistenza ospedaliera, ma anche quella territoriale). Da quel momento in poi, gli erogatori pubblici e privati hanno cominciato a contendersi in modo esplicito l’utente, diventato preda e non portatore di diritti.

B) Il ruolo dell’università

Da un lato, il personale dipendente del SSR riformato, per lo più allineato con la svolta del 1997, è entrato come docente incaricato nelle facoltà di Medicina e Chirurgia. Sono state istituite sedi private di docenza e di ricerca all’interno delle stesse facoltà pubbliche, finanziate dal pubblico, che hanno svolto anche il ruolo di incubatore delle Università di Medicina e Chirurgia dei maggiori gruppi privati in sanità.

Dall’altro, le facoltà pubbliche di Medicina e Chirurgia hanno aperto proprie sedi nelle aziende sanitarie private; gli accademici che lo richiedevano potevano prestare servizio volontariamente nelle cliniche private, anche come personale con incarichi professionali, per una quota del loro tempo.

In questo modo, i gruppi privati della sanità si sono trovati a essere progressivamente i detentori della formazione accademica dei nuovi professionisti della sanità lombarda, pubblica e privata.

Le facoltà lombarde di Medicina e Chirurgia, quelle economiche e le politecniche, più o meno esplicitamente, hanno sostenuto la narrazione alla base della svolta. In particolare, le università economiche (ispirate dal New Public Management) si sono fatte carico di formare/educare sia i vertici pubblici del SSR, sia quelli della sanità privata.

C) Lo sbilanciamento tra pubblico e privato

Cosa ha prodotto in questi anni la politica della Regione Lombardia:

  1. Un consistente aumento del numero delle strutture di erogazione private sia di ricovero e cura (ampiamente oltre il 50% del totale), sia di assistenza territoriale (oltre il 70%).
  2. Un aumento del fatturato annuale o della valorizzazione dei servizi erogati dai privati, soprattutto in area extra-ospedaliera.
  3. Un aumento delle potenzialità ricettive dei privati: sia per quanto riguarda il numero dei posti letto e dei posti tecnici, sia per quanto riguarda le risorse ricettive generiche.
  4. La comparsa di sedi accademiche delle facoltà di medicina e chirurgia degli atenei pubblici in strutture private di erogazione.
  5. L’aumento del numero di istituzioni accademiche di proprietà dei gruppi privati.
  6. L’aumento del numero degli IRCCS (Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) privati, che sono ora il triplo di quelli pubblici.
  7. L’aumento della gamma di funzioni assegnate al privato, non solo di erogazione.
  8. Una maggior attribuzione di risorse simboliche di legittimazione agli erogatori privati.

Gli interventi, ha spiegato Sartor,  sono stati realizzati in due diverse sfere di azione: a) azioni di svuotamento nella sfera del pubblico; e, in parallelo, interventi di segno opposto: b) riempimento e rafforzamento nella sfera di azione delle forze di mercato.

Pertanto, molto semplicemente, la strategia di privatizzazione può essere descritta compiutamente con 4 parole: fare spazio al privato. Fare e non dare. È importante la distinzione, perché il verbo fare in questo caso significa che si è prodotto uno spazio, svuotando l’ambito di azione pubblico.

D) I posti-letto

La ricettività degli ospedali pubblici si è più che dimezzata: dai 45.630 posti-letto del 1995 ai 20.838 del 2018.

Secondo le disposizioni nazionali si sarebbero dovuti ridurre i posti-letto totali sulla base di un parametro via via decrescente nel corso degli anni, con un rapporto prestabilito fra numero dei posti letto e popolazione.

Ma quello che è accaduto in Lombardia mette in evidenza come il vincolo nazionale non abbia comportato una diminuzione dei posti letto sia pubblici, sia privati: si è assistito, in realtà, ad un travaso dal pubblico al privato, cioè al crescere della proporzione dei posti letti privati sul totale dei posti letto, proporzione che è passata all’incirca dal 19% al 40%.

Senza contare il fatto che in Lombardia vi sono posti letto dei reparti di ospedali pubblici ceduti in gestione al privato: questi non sono più a gestione pubblica ma continuano – con ogni probabilità – ad essere considerati nelle statistiche dei posti-letto pubblici.

E) I tagli alle risorse

In Lombardia si è assistito a un ridimensionamento dei fattori produttivi delle strutture pubbliche di erogazione molto più alto che altrove. Il personale dipendente in Lombardia è calato dell’11,9%, mentre la media italiana si attesta su una diminuzione del 7,3% (sempre nello stesso arco temporale citato, cioè tra il 1997 e il 2017). È doveroso sottolineare come i SSR di Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana, così come altri SSR del centro-nord nello stesso periodo, registrino non una diminuzione, bensì un aumento, per quanto contenuto, del personale.

Questi dati dimostrano come, a parità di vincoli nazionali, nelle regioni si siano determinate situazioni diverse.

La questione dei tagli di personale nel pubblico imposti dai governi nazionali e la loro realizzazione diversa nelle differenti regioni, sta lì a dimostrare che si tratta di scelte e non di imposizioni necessariamente subite.

Il rapporto tra i dipendenti del SSR e gli abitanti e il rapporto tra medici pubblici e abitanti nelle regioni, in un’epoca di tagli alla sanità e di andamenti demografici differenti, mostrano diversi andamenti.

In Lombardia, alla fine dell’arco temporale considerato (1997-2017), per ogni dipendente pubblico in sanità, vi è un aumento di 24 abitanti: si passa da un dipendente del SSR ogni 90 abitanti nel 1997 a un dipendente del SSR ogni 114 abitanti nel 2017. Per quanto riguarda i medici, il rapporto tra medici pubblici dipendenti e abitanti cresce di 111 abitanti: si passa da un medico pubblico del SSR ogni 662 abitanti nel 1997 a un medico pubblico del SSR ogni 773 abitanti.

F) La drammatica situazione del CUP (Centro Unico di Prenotazione)

In Lombardia non esiste ancora un CUP, che prevederebbe la confluenza automatizzata delle agende di tutti gli erogatori pubblici e privati in un sistema regionale di prenotazione di visite ambulatoriali specialistiche, esami e ricoveri, nonostante il Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa (PNGLA) del 2019 lo preveda e così il Piano Operativo per il Recupero delle Liste di Attesa Regionale (Gallera, 2020), che doveva essere realizzato con i soldi ottenuti dal governo nazionale.

Non averlo costituito lascia libero il privato di spostare sui servizi a pagamento quello che è richiesto come servizio del SSR, con pratiche di marketing sui luoghi di erogazione del servizio (viene citato il caso del Gruppo Multimedica, sotto attenzione per la segnalazione di pratiche scorrette messe in atto per spostare i pazienti che si rivolgono all’azienda dal settore riservato al SSN al settore privato).

G) Le strutture private: promozione, gestione e controllo

Sartor ha illustrato in seguito una lunga serie di attività o di omissioni attraverso le quali il privato viene costantemente favorito. Si tratta di un elenco sorprendente, che lascia letteralmente senza parole.

  1. Alle strutture private viene garantito l’ingresso nel SSR, indipendentemente da una programmazione: l’ingresso è inizialmente facilitato, in quanto il soggetto privato non viene sottoposto a procedure di accreditamento e solo successivamente viene sottoposto ad accreditamento ma con modalità semplificate (solo su una base documentale, non etero-controllata) e poco rassicuranti per l’utenza. I requisiti richiesti per l’accreditamento vengono introdotti gradualmente, in modo da consentire comunque un alleggerimento dei vincoli per il privato. Inoltre, i termini di adeguamento ai requisiti richiesti per favorire l’ingresso e la permanenza del soggetto privato nel SSR vengono continuamente prorogati.
  2. Il tempo viene gestito in modo discrezionale, sia anticipando le disposizioni nazionali che limitano il ruolo del privato con proprie disposizioni dai contenuti opposti o diversi, sia ritardando l’implementazione e l’applicazione delle disposizioni nazionali non in linea con la strategia di privatizzazione.
  3. Viene facilitata la promozione delle strutture private di ricovero (cioè degli ospedali o cliniche private) in IRCCS: il cambio della forma istituzionale comporta una maggiore legittimazione e maggiori risorse economiche (ricerca finanziata dallo Stato e della Regione e sovra-tariffazione delle attività da parte della Regione).
  4. Si mettono in atto facilitazioni per l’accesso fisico alle strutture da parte dell’utente (mobilità facilitata e segnaletica urbana).
  5. I budget delle strutture private sono definiti solo per macro-attività (ospedaliera, extra-ospedaliera, ecc.) e le tariffe sono continuamente riviste al rialzo, spesso su richiesta dei privati e non in linea con il tariffario nazionale
  6. Le norme di contenimento delle attività dei soggetti erogatori privati vengono aggirate, spesso grazie a regole che consentono il riutilizzo dei budget in altri territori
  7. I controlli sulla attività svolta durante la permanenza a contratto della struttura nel SSR sono insufficienti, così come le sanzioni nei confronti dei comportamenti inadeguati tenuti dagli erogatori. Non vengono sanzionati con l’uscita dal SSR nemmeno gli erogatori privati che si dimostrano per varie ragioni non idonei e di fatto pericolosi

H) Che fare?

La domanda finale che si e posta la professoressa Sartor è stata: che cosa fare a questo punto per salvare il SSN?

La sua risposta è stata semplice. Senza entrare nel merito delle singole azioni di resistenza e di recupero del primato della sanità pubblica, Sartor ha indicato due piani di azione estremamente chiari:

  • il primo, riguardante il brevissimo termine: congelare il processo di privatizzazione; le autorizzazioni all’esercizio delle attività di servizio in sanità da parte dei privati vanno fermate;
  • il secondo, riferito al medio-lungo termine: riuscire a fare in modo di invertire il processo di privatizzazione.

3. Privatizzazioni e democrazia

Chiara Cordelli, filosofa, professoressa associata presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Chicago, autrice del testo Privatocrazia, oggetto di una recente recensione di Prateria Ribelle, ha presentato una relazione dal titolo Perché privatizzare è un pericolo per lo Stato democratico, in cui ha affrontato la questione delle privatizzazioni dei servizi pubblici con una prospettiva filosofica e di scienza della politica, che proviamo a sintetizzare di seguito.

A) La gestione dei servizi pubblici da parte dei privati

Lo Stato, ha spiegato la relatrice, tende a occuparsi sempre meno della gestione diretta dei servizi e utilizza enti terzi. Nei Paesi anglosassoni, anche le carceri e l’esercito vengono appaltati ad aziende private.

Un fenomeno analogo avviene con le scuole, dove si amplia lo spazio delegato alla scuola familiare, cioè all’istruzione impartita direttamente dalle famiglie ai figli.

In Italia, oggi, la sanità va esattamente in questa direzione.

Tradizionalmente, i liberali hanno sostenuto il modello dello Stato minimo, in cui lo Stato è corresponsabile e co-amministratore e in cui le risorse pubbliche vengono utilizzate per sostenere le iniziative private.

Oggi, ci troviamo di fronte a un nuovo modello che prevede una privatizzazione dello Stato, il quale opera direttamente attraverso il privato.

L’origine di questo percorso si può situare nell’ormai persistente crisi di legittimazione dello Stato, con una pressante richiesta di snellimento della burocrazia.

La risposta da parte delle prevalenti correnti economiche neoliberali è stata identificata nell’adozione di strategie di mercato negli affari pubblici, con tre obiettivi: a) una via d’uscita dall’inefficienza; b) un miglioramento della qualità dei servizi; c) uno strumento per risparmiare.

Cordelli ha chiarito come si tratti di falsi miti che non tengono conto dei fallimenti interni al mercato (market failures): si pensi ad esempio al sottoutilizzo della sanità in Lombardia, per quanto riguarda i servizi non lucrativi.

B) La delega di funzioni essenziali ai privati da parte dello Stato

Anche se si tratta di un elemento importante da tenere in considerazione, Cordelli ha precisato come, nell’analisi di questo fenomeno di trasferimento di funzioni dal pubblico al privato, si debba evitare un discorso esclusivamente legato all’efficienza e quindi solo a una valutazione dei costi e dei benefici. La questione centrale, a suo avviso, sono le conseguenze della gestione dei servizi pubblici da parte dei privati per la democrazia, anche quando si dimostrassero effettivamente efficienti

Nel momento in cui i servizi pubblici sono delegati ai privati, è la legittimità stessa dello Stato ad essere messa in discussione: la privatizzazione, ha affermato, delegittima lo Stato democratico.

Ha citato Kant, secondo il quale solo all’interno dello Stato si può evitare che il singolo dipenda dall’arbitrio di altri per la realizzazione dei fini comuni. Pertanto, ha affermato Cordelli, bisogna partire dal pubblico e non da un privato che lascia al pubblico solo attività residuali.

Sempre secondo Kant, in una condizione senza Stato, reclamare un diritto è solo stabilire secondo la propria volontà privata e arbitraria i limiti della libertà altrui in base alla propria forza. Stabilire una condizione di giustizia significa, invece, realizzare l’implementazione di diritti e doveri in maniera pubblica e reciproca.

Pertanto, la decisione sull’accesso ai servizi essenziali deve rispondere a criteri pubblici (quindi deve essere presa da parte di persone rappresentanti della società) e non da una volontà aliena e totalmente privata: affidare ai privati elementi di discrezionalità rispetto alla garanzia di diritti fa regredire la società a una situazione pre-civile.

Ne consegue che il controllo sull’amministrazione della cosa pubblica deve essere nelle mani della cittadinanza o dei suoi rappresentanti.

C) Conseguenze delle privatizzazioni sulla vita democratica

Tra le conseguenze della delega ai privati di funzioni pubbliche si ha la perdita di controllo direttivo; infatti, per controllare bisogna spendere e quindi il controllo tende a diminuire, come dimostrato dal caso della sanità in Italia.

Inoltre, la privatizzazione, rendendo più difficile il controllo, porta all’apatia della cittadinanza e alla disaffezione nei confronti dei servizi pubblici.

Infine, le esternalizzazioni generano disuguaglianza politica: aumentano il rischio di corruzione e fanno dipendere gli interventi del governo dalla capacità di alcuni soggetti dotati di potere economico e/o politico di influenzare le scelte pubbliche (a differenza di ciò che possono fare i singoli cittadini).

Cordelli ha ricordato come anche la filantropia possa costituire un problema quando si trova a sostituire gli aiuti pubblici in aspetti fondamentali della vita delle persone, mentre può assumere una funzione positiva per quanto riguarda aspetti complementari della vita sociale, quali ad esempio l’arte e la cultura.

Per evitare che lo Stato abdichi al suo compito di evitare che la giustizia dipenda da interessi privati, ogni Costituzione dovrebbe contenere limiti espliciti alla possibilità di privatizzare i servizi pubblici.

4. La privatizzazione della medicina:

prevenzione e farmaci

Il professor Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, ha concluso l’incontro con un intervento che ha messo l’accento sul rapporto tra medicina e farmaci e su quello tra cura e prevenzione.

Recentemente, Garattini ha pubblicato il testo Brevettare la salute? che contiene parecchi elementi di grande interesse sui farmaci e sugli interessi economici legati a questo settore.

Anche di questo testo è stata pubblicata una recensione da Prateria Ribelle.

Riassumiamo a continuazione alcuni degli spunti che il professor Garattini ha messo a disposizione dei partecipanti all’incontro.

A) Pubblico e privato

Innanzitutto, ha spiegato, vi è un’enorme contraddizione nella scelta del pubblico di fare entrare il privato nei suoi ranghi. Tra l’altro, investire nel privato non giova alla salute pubblica: la Toscana, ad esempio, spende meno e ottiene migliori risultati in termini di mortalità evitabile rispetto alla Lombardia.

Ha definito intollerabile l’esistenza della medicina intramoenia, fornita da medici del SSN, all’interno di strutture del SSN in regime di solvenza, quindi riservati a chi paga e grazie a cui chi paga ha visite in tempi estremamente più rapidi di chi si affida al SSN.

Si è poi soffermato sul problema delle cooperative, che costituiscono un aspetto importante della privatizzazione: forniscono medici di cui non conosciamo la preparazione e addirittura nemmeno il tipo di specializzazione. Questi medici vengono pagati dalla Regione molto di più dei dipendenti pubblici e così molti medici escono dal SSN per costituire cooperative e avere maggiori stipendi. Una possibile soluzione consiste nell’aumento degli stipendi dei medici e degli infermieri del nostro SSN, che sono tra i più bassi d’Europa.

B) Allevamenti e coltivazioni

Garattini ha fatto riferimento agli allevamenti intensivi di bestiame: che provocano un abnorme consumo di antibiotici: ogni anno in Italia vi sono 10.000 morti per antibiotico-resistenza, dovuta a un consumo senza limiti di questi farmaci, fondamentali per la nostra salute e che dovrebbero essere utilizzati solo nei casi in cui sono necessari. Gli allevamenti intensivi provocano inoltre danni enormi per l’ambiente per via dell’ammoniaca, che genera i solfati di ammonio, agenti estremamente inquinanti per l’ambiente. Infine, ha segnalato come l’eccesso di carne aumenti i rischi per alcune malattie, tra le quali il tumore al colon retto.

Ha anche ricordato come una parte del territorio coltivabile del nostro Paese venga dedicata alla produzione di tabacco, cioè di un veleno che produce ogni anno 85.000 morti e malattie con grande impatto sul SSN.

C) I farmaci

Dopo avere stigmatizzato il fatto che in Italia sono altissime le spese per farmaci e integratori che non hanno nessun rilievo di carattere scientifico, Garattini ha parlato dell’EMA (European Medecines Agency) e del suo funzionamento.

L’EMA, oggi, deve rispondere alle leggi europee e quindi per approvare un farmaco deve certificare che un nuovo farmaco risponda ai requisiti di qualità, efficacia e sicurezza. Si tratta di tre elementi fondamentali nella valutazione dei farmaci, però – ha detto Garattini (che di questo parla a lungo nel suo libro, che abbiamo citato) – manca un quarto requisito, che non viene preso in considerazione, ossia se ci sono farmaci già esistenti che hanno le stesse caratteristiche e se i nuovi farmaci sono migliori o peggiori di quelli precedentemente a disposizione, perché non sono previsti dei confronti fra i nuovi farmaci e quelli già presenti sul mercato.

È pertanto necessario che venga introdotto il requisito del valore terapeutico aggiunto, che oggi non esiste. Da un lato, perché potrebbero non essere approvati farmaci che non costituiscono un elemento di rilievo; dall’altro, perché, una volta verificata l’esistenza di un valore terapeutico aggiunto, potrebbero essere eliminati i farmaci preesistenti, se meno efficaci.

Naturalmente, la possibilità di introdurre nuovi farmaci sul mercato consente ingenti guadagni, legati alla brevettazione. Questo porta a un uso limitato dei farmaci generici, che sono del tutto equivalenti a quelli brevettati: al Nord, vengono utilizzati solo nel 40% dei casi, e ancor meno al Sud, dove la percentuale si riduce al 20%. In Italia non esiste un’informazione indipendente sui farmaci e anche molti medici prescrivono quanto dice il mercato, condizionati dalla pubblicità.

Oggi, dice Garattini – che, quando nel 1993 ha fatto parte delle Commissione Unica sul Farmaco (CUF), ha permesso un risparmio di 3.000 miliardi di lire alle casse statali attraverso l’eliminazione dei farmaci inutili dal prontuario del SSN – si potrebbero risparmiare 5 dei 23 miliardi spesi in farmaci, se solo lo si volesse, scegliendo i farmaci davvero utili.

D) Percorsi di prevenzione

Oggi si usa la prevenzione solo per screening e vaccini (che servono al mercato), ma non la prevenzione che eviterebbe le malattie (dai tumori alle malattie croniche). La concorrenza dovrebbe esistere per diminuire la mortalità evitabile, eliminando i fattori di rischio (ad esempio: tabacco, alcool, obesità). Gli incentivi dovrebbero essere utilizzati per premiare chi riesce a eliminare i fattori di rischio e quindi la mortalità evitabile.

È importante sottolineare che la prevenzione deve avere come suo obiettivo non solo quello di ridurre la mortalità (aspetto nei quali in Italia siamo fra i primi al mondo), ma anche quello di evitare lunghi periodi di vita non sana (rispetto al quale l’Italia si situa al quindicesimo posto).

Tra gli obiettivi, ci deve essere anche quello di ridurre l’assunzione di farmaci.

Garattini ha poi parlato della necessità di una rivoluzione culturale, a partire dalla scuola, e della necessità di sottrarre il SSN alla burocrazia, con un’autonomia che permetta di avere in tempi rapidi apparecchiature, personale, rimozione delle figure inefficienti, ecc.

E) Il futuro

Come sua consuetudine, il professor Garattini ha concluso il suo intervento e i lavori del convegno con parole di ottimismo guardando a ciò che ci attende.

Anche se siamo lontani dalle Case della Comunità e molti problemi non sono di immediata soluzione, occorre avere fiducia. Un tempo, solo poco più di 40 anni fa, il SSN non c’era: oggi, ha affermato, abbiamo un bene straordinario da non perdere e da difendere. Con impegno e determinazione, è possibile continuare ad avere ciò che abbiamo conquistato e si possono ampliare i confini della nostra sanità pubblica, per migliorare l’esistenza di tutta la popolazione.

           

Luca

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